Finale di stagione (do you need a little recap? Play qui per le prime due puntate). Ci eravamo lasciati sul più bello. Pronti a spiegare il “dramma” di quell’essere particolarissimo che siamo noi, animali E-loquens. Perché sì, è un dramma pensarci in balia di un’alterità irriducibile. Ma è anche un sollievo, per evitare di costruire roccaforti egoiche e autoreferenziali che con la nostra esperienza non hanno niente a che vedere. Proprio qui sta il punto, allora.
La parola ha molto a che vedere con la nostra particolarissima modalità di esistere.
Dicevamo ,in tempi non sospetti: l’esistenza di “quell’essere complicatissimo e contraddittorio in cui convivono luci ed ombre, ragione e sentimento, tesi e antitesi”. L’io e il non io, aggiungiamo qui (stavolta scomodiamo l’intramontabile filosofia hegeliana). Beh, il fatto è che questa incertezza può solo essere “raccontata”. Non “calcolata”, non “definita”. Solo raccontata, e a farlo per davvero è la parola della narrazione. Quella dei romanzi, delle fiabe, delle poesie. La parola che parla di noi.
Ed anche i libri parlano di noi: le loro pagine nascondono i nostri segreti. I libri raccontano una storia sulla vita e le avventure di personaggi più o meno inventati e sconosciuti, ma la loro funzione non si ferma qui: se letti più a fondo, in filigrana, si scopre che quella storia parla anche di me, di te, di noi. I libri raccontano la storia universale dell'umanità. Perché lo scrittore si chiude in una stanza a scrivere, e un lettore a leggere?
Lettori e scrittori, che cosa sperano di trovare in quelle pagine? La realtà.
Anche, e soprattutto, quella che non si può toccare. Quella che non risponde alla legge fisica della gravità o all'equazione matematica per cui 2+2=4. È la realtà ancora più reale della nostra particolare esperienza. Incerta, inquieta, indefinita. Realissima. Non c'è niente di più tangibile di un dramma che ci preoccupa, di un dolore che ci colpisce, di una disperazione che ci affligge. Non c'è niente di più reale di una gioia che ci sorride, di un piacere di cui si gode, di una speranza che ci sostiene.
Di una parola che lo racconta. Non facciamo come le api, allora: scegliamola bene.
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