Il Senso Critico: coltivare l'impegno della Scomodità

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  • 16.04.24
  • Da oltre 15 anni lavora alla guida di brand d’eccellenza a livello internazionale, tra cui Loro Piana, Officina Profumo-Farmaceutica di Santa Maria Novella e Avignonesi, nei settori di bellezza, moda e lusso. Tra lungimiranza, creatività, ed un pizzico di follia.



    REMIDA incontra ALICE TEDESCHI



    È il luminoso giovedì mattina del 4 aprile, e l’asse toscoemilianobolognese si colora della conversazione fra Lisa, Alice e Susanna.

    L: Iniziamo dal mondo in cui ci inseriamo, banalizziamo chiamandolo “marketing e comunicazione”. Come si muove, secondo te, il senso critico all’interno di questo contesto?

    A: Entrare in questo tipo di conversazioni significa addentrarsi in un mondo di grande scomodità. Tra people pleasing e senso critico si insinuano sette o otto universi. Nell’industria comunicativa, il senso critico muove da un lavoro di base: capire come veicolare dei pensieri che altrimenti potrebbero essere percepiti come aggressivi. Si tratta di provare a leggere una situazione ad alta voce, consapevoli che la lettura sia sempre parziale… e potenzialmente sbagliata. Questa, allora, è la sfida più grande: trattare le situazioni con delicatezza, comprenderle, e al contempo non frenarsi dall’esprimere il proprio pensiero.



    L: Mi piace. Cos’è, per te, il senso critico?



    INTERVALLO!

    Caro lettore, ti starai chiedendo… Bella l’intervista, ma che c’azzecca il senso critico? Beh, se la conosci lo sai: Lisa ci è un po’ fissata e chi meglio di Alice per darle man forte? Un po’ di contesto ti era doveroso, ne conveniamo. Ma rieccoci alla risposta di Alice.



    A: Il senso critico è il tentativo, o la capacità, di mettere a fuoco gli elementi fondanti di una conversazione, sia personale che professionale. E riuscire a incapsulare, all’interno delle aree di rilevanza, dei concetti affini al contesto.



    L: E riesci a trovarlo? Dove?



    A: Lo vedo di più nelle materie che mi è capitato di maneggiare con maggiore frequenza: nella lettura di un brand, di un contenuto, di una campagna.

    E la comprensione della materia è fondamentale: non è necessario sapere tutto, per riuscire a costruire un punto di vista critico. Ma è importante usare attenzione ed apertura alla discussione, anche per avere il coraggio di dire: “Un punto di vista, questa volta, non ce l’ho.” Io lo uso come cornucopia, in cui inserire oggetti anche distanti, e moltiplicarli in maniera quasi esponenziale. È una lente mai fine a sé stessa.



    L: Ladies and gentleman, la domanda da un milione di dollari. (Ovviamente, cari spettatori, il premio è metaforico… Ma se volete aggiungervi alla conversazione, lesti scriveteci a supernova@remidastudio.com). Secondo te… i brand ce l’hanno, il senso critico?

    A: Sì, se guidati da un founder visionario… di cui però negli ultimi anni si vedono sempre meno rappresentanti. No, o troppo poco, se guidati dalla necessità di piacere agli altri. Capisco che questo bisogno possa tradursi in un ROI soddisfacente, ma è una scelta poco lungimirante. In questi casi, l’obiettivo diventa “devo piacere tanto e a tutti”, e c’è una sorta di famelicità: il voler fagocitare tutto e farsi la pancia piena, inebriati dalla sensazione che ne deriva. Così, il senso critico è per forza sottomesso all’approccio fagocitante al cliente. Perché? Per paura, per una cattiva gestione dei timori. Alcuni manager che ho avuto la fortuna di incontrare non facevano del loro successo “mordi e fuggi” la matrice di costruzione di un’azienda. Il loro senso critico non si riduceva al gusto.



    L: Mi viene in mente una delle interviste che Alessandro Borghi ha rilasciato dopo l’uscita di Supersex. Diceva: “Questa serie l’abbiamo fatta per far incazzare qualcuno.” Ti immagini uno scenario futuro in cui il senso critico sia più agito? Si potrebbe arrivare alla creazione di contesti dove la “rabbia” possa essere foriera di fulgore? O, fuor di metafora, utile alla costruzione di una opinione più complessa e, quindi, con maggior dose di senso critico?



    A: Credo che oggi si usi il senso critico soprattutto in contesti pubblici, e non aziendali – dove molte dinamiche spingono a deporlo. E non c’è ancora un vademecum, una guida che insegni a sviluppare questa attitudine. La vera domanda diventa: il senso critico è un talento o una skill? È qualcosa che puoi coltivare, o ci nasci e basta? Non ho una risposta netta. Probabilmente è vero che una parte si possa migliorare e sviluppare, ma sono anche convinta che si padroneggino davvero le situazioni quando si ha la capacità di gestire l’imprevisto, al di fuori del libro della teoria.



    S: Intervengo anche io. Se il senso critico è l’esprimere il proprio pensiero critico, anche se scomodo, anche quando "fa incazzare qualcuno"... come la mettiamo con la cosiddetta “comunicazione nonviolenta” o comunicazione empatica? Dobbiamo essere “gentili” tout court, o il senso critico può venirci in aiuto?

    A: Non credo all’assenza di conflitto, è uno dei colori che abbiamo a disposizione. Eliminare i toni più scuri perché “aggressivi”, perché meno luminosi, non è la soluzione. Non vuol dire agire violenza, o mancare di educazione. Il rischio è sostituire la libertà di esprimersi con l’effettiva libertà di non esprimersi: sradichiamo una parte di noi solo perché non la sappiamo gestire. Il punto, invece, è riconoscere che abbiamo a disposizione anche questo strumento, sapere quando e come usarlo. Difendo l’uso della gentilezza, ma anche il mio pensiero: voglio la possibilità di esprimere tanto il mio consenso, quanto il mio dissenso.



    L: Ok, qui l’assist con la Direzione Linguistica® è troppo forte perché io non lo espliciti… Quanto influisce secondo te, in tutto questo, la consapevolezza verbale?

    A: Moltissimo. Soprattutto se in forma scritta, che richiede una ancora maggiore capacità di rappresentare ciò che passa attraverso il codice verbale.



    La Direzione Linguistica® per me è un’astrazione capace di accendere una attenzione importante.

    Il punto non è far “imparare” le parole, ma dispiegarle, per poi usarle con consapevolezza.



    L: A volte mi sembra che tutto il vivere sociale passi attraverso, e quindi non esista in assenza, del linguaggio.

    A: È così. È la base della società. Stiamo insieme perché ci mettiamo d’accordo su delle regole, verbali, comportamentali, culturali.

    L: E quindi ancor più fondamentale padroneggiarlo, questo mezzo. A proposito, del linguaggio inclusivo cosa ne pensi?

    A: Penso che “mozzare” una lingua, togliere o sostituire delle lettere, sia molto complicato. Io non uso l’asterisco, per fare un esempio. Scelgo piuttosto di fornire tre versioni dello stesso testo.Penso che sia rischioso anche il focalizzarsi su una materia estetica, formale, e meno sulla sostanza di azioni ed iniziative che racchiudono un potenziale di cambiamento concreto.



    L: Altra domanda da un milione di dollari. (Cari lettori, sempre un fior di metafora… Ma sapete cosa fare per partecipare al dibattito! ;) ) Che differenza c’è tra opinione e senso critico? A me verrebbe da dire che l’opinione chiude il discorso, mentre il senso critico apre al coinvolgimento e al confronto tra i suoi attori. Per me il senso critico è prima di tutto la capacità di tollerare l’incertezza.

    A: Sono d’accordo. E la criticità è proprio questa: prendere una posizione e manifestare un punto di vista che non garantisce il senso di appartenenza – un desiderio da cui siamo ossessionati.



    Invece, il senso critico è curiosità, è esplorazione, è non ammutolirsi di fronte alle difficoltà.



    Nasce dalla self-confidence ed implica la volontà di fare sempre una domanda in più. E la possibilità di aggiungere sempre una risposta.



    L: Un’ultima opinione “scomoda”?

    A: Siamo circondati da persone con poca spina dorsale. Ne servirebbe un po’ di più. Dare vocalità al senso critico, oggi, è una pratica anticonformista. Siamo abituati a lodarci a vicenda, invece di manifestare le cose come stanno. Il che, è vero, comporta qualche scomodità in più, ma non farlo significa perdersi una fetta di realtà.

    E in campo professionale, tra simpatia e rispetto, preferisco il rispetto.



    E quindi, cari lettori, per coltivare l’arte della buona domanda più che della risposta, stupiteci: fateci le vostre a supernova@remidastudio.com

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