Dove l'occhio non arriva

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  • 22.10.24
  • Hai mai sentito dire che fare arte contemporanea è facile? Magari ti è capitato di ascoltare, davanti a un quadro tutto bianco o a una scultura "incomprensibile", qualcuno che commenta con aria di sufficienza: "Questo lo potevo fare anch’io!". È un ritornello noto, fin da “Il mio falegname con 30.000 lire lo fa meglio” di Aldo, Giovanni e Giacomo. Un’arte che sembra “troppo semplice” per essere considerata tale. E se pensi che questo pregiudizio appartenga solo al mondo dell’arte: ti sbagli. La stessa leggerezza invade il nostro mondo, quello delle parole, dove il mito del “tutti sanno scrivere” prospera in tutta la sua disarmante semplicità.



    Ecco allora che abbiamo deciso di indagare cosa succede quando il “concetto” diventa il vero protagonista, sia che si tratti di una tela, sia che si tratti di un messaggio costruito con cura per risuonare nelle orecchie giuste. Per capirlo abbiamo conversato con Angela Vettese. Critica, storica dell’arte e docente universitaria, Vettese è una delle voci più influenti nel panorama artistico contemporaneo. Autrice di testi fondamentali come “L’Arte Contemporanea. Tra mercato e nuovi linguaggi”, è nota per la sua capacità di esplorare e interpretare le trasformazioni dell’arte e le sue implicazioni sociali e culturali. E se pensi ancora che fare un’opera (o scrivere un copy) sia solo questione di mezzi e manualità, mettiti comodo: il nostro viaggio nel cuore del pensiero creativo sta per iniziare!



    REMIDA incontra ANGELA VETTESE.



    L: Parliamo di arte contemporanea. Un’arte che, come dice nel suo libro, è grande (o mediocre) non tanto per la sua realizzazione tecnica, quanto per il concetto che mette in gioco. Quali sono le resistenze che più spesso incontra in questo approccio?



    A: La difficoltà sta nel far capire che il lato mentale dell’arte non è essenziale solo oggi, ma lo è sempre stato. Disegni, progetti e scritti sono sempre stati parte del processo creativo, anche nell’arte antica. Un’opera priva di questa dimensione diventa mera decorazione. È questo che bisogna comunicare: è il concetto che fa la differenza, non il mezzo. Oggi, l’opera d’arte deve essere in grado di dialogare con altre opere e, al tempo stesso, spingere il pensiero oltre il già detto. E questo vale per qualsiasi campo creativo, non solo per l’arte visiva.



    L: Giudicare l’arte contemporanea è una sfida per molti. Oggi prevale la “comprensione” rispetto al giudizio estetico? Esiste ancora un canone?



    A: Esistono ancora canoni, ma sono molti e frammentati. È un po’ come appassionarsi a un tema tecnico: serve competenza e tanta pratica. Per capire davvero l’arte, è necessario un certo grado di familiarità con il suo linguaggio. Non è che il figurativo renda l’arte più facile da capire, semplicemente è più “accessibile” al primo sguardo, più immediato. Ma possiamo davvero dire che ci sia mai stato un unico canone? Al massimo, c’è stato il canone occidentale, e persino quello è stato accompagnato da canoni di altre culture che solo ora iniziamo a riconoscere nel loro specifico valore. L’arte riflette la società e le sue contraddizioni, per questo non può e non deve essere imbrigliata in un unico schema.



    L: E se introduciamo l’intelligenza artificiale nel processo artistico? Come cambierà il mondo dell’arte?



    A: L’arte ha sempre assorbito qualsiasi mezzo a sua disposizione, dalla pittura vascolare ai ready-made di Duchamp, dall’olio su tela alle performance che non lasciano traccia. L’intelligenza artificiale non sarà diversa: aprirà nuove strade e diventerà uno strumento come gli altri. L’arte è un laboratorio di sperimentazione continua, e ogni nuova tecnologia non è mai stata una minaccia, ma piuttosto un’opportunità per rielaborare e reinventare il modo di creare e comunicare.



    L: A proposito di mezzi e linguaggi: qual è, secondo lei, oggi il linguaggio più efficace per comunicare attraverso l’arte?



    A: Oggi non c’è un unico linguaggio. Ogni artista ha la libertà di scegliere il proprio mezzo, dall’hi-tech alla materia organica. L’importante è che l’opera abbia una coerenza interna e un tema rilevante. L’arte del Novecento ci ha insegnato a superare i confini tecnici e a scegliere il mezzo che meglio racconta un messaggio. Quindi, se c’è un linguaggio efficace, è quello che parla chiaro, che colpisce e che sa cosa vuole dire. E non importa che sia un’installazione high-tech o una pianta che cresce: l’arte deve provocare, disturbare e, perché no, anche far sorridere.



    L: Lei vive e lavora a Venezia, un contesto urbano e artistico unico. Come crede che debbano evolversi i musei per restare rilevanti?



    A: I musei hanno attraversato una vera e propria rivoluzione architettonica e concettuale. Il Centre Pompidou di Parigi ha cambiato tutto, così come la Tate Modern a Londra. Oggi i musei devono adattarsi alla flessibilità dell’arte contemporanea. Non sono più solo contenitori di oggetti, ma spazi di esperienza, dialogo e confronto. L’arte è in movimento, è viva, e i musei devono saperla seguire. Il museo del futuro sarà sempre meno una teca polverosa e sempre più una piattaforma per la creatività diffusa, capace di connettere spazi, persone e idee.



    L: Lei cita Ernst Gombrich: “L’arte non esiste, esistono solo gli artisti con le loro opere.” Cos’è, allora, un artista?



    A: Un artista è un pensatore che traduce il proprio pensiero in immagini invece che in parole. Non c’è un’unica ricetta: può essere saturnino o mercuriale, calmo o inquieto. Ciò che conta è la coerenza e la capacità di toccare temi rilevanti. L’arte deve parlare all’oggi, deve farci vedere il mondo con occhi diversi. È qualcuno che sente il bisogno di esprimere ciò che ancora non è stato detto, di raccontare quello che ci sfugge.



    L: Un consiglio di lettura per noi?



    A: Seguite le mostre dei musei più innovativi e leggete i loro cataloghi. Artforum è ottima, anche se molto americana. October è più accademica. In italiano vi consiglio Mousse, Exibart e Artribune. E abbonatevi a e-flux, un’ottima guida per sapere cosa succede nel mondo dell’arte contemporanea.



    La prossima volta che ti troverai davanti a una tela bianca o a un’installazione minimalista, fermati e rifletti: cosa sta davvero cercando di dirti? Forse quella semplicità nasconde un universo complesso, fatto di pensieri che si rincorrono e si confrontano con la storia, il mercato, la società. E lo stesso vale per le parole.



    Perchè dietro ogni frase ben costruita si nasconde un pensiero, un mondo che va ben oltre la superficie del foglio.



    Se pensi che sia il momento di dare voce a quel pensiero, scrivici a supernova@remidastudio.com.

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