Parlare di creatività con Enzo Abbate significa esplorare un mondo che abbraccia suoni, parole e immagini. Da fondatore dell’agenzia creativa Xister a guida di Studio33, spazio dedicato alla narrazione attraverso il suono, e fino alla nuova avventura con Hypercast, Enzo ha attraversato tutte le trasformazioni che il mondo della comunicazione ha subito negli ultimi vent’anni. La sua è una creatività che non si accontenta di stupire, ma mira a trasformare, unire, lasciare un segno. Come? Attraverso il potere del linguaggio e la capacità di narrare storie autentiche.
REMIDA meets ENZO ABBATE.
L: Cos'è per te la creatività?
E: Per me è sempre stata una questione di ascolto. Ho iniziato a muovere i primi passi in questo settore nel 1997 e ho avuto la fortuna di vivere in prima persona la nascita e l’evoluzione dell’internet. Nel 2002, con Xister, abbiamo portato la creatività al centro della comunicazione digitale. Applicata alle aziende, la creatività è molto semplice: anziché guardare un excel, guardi il mondo. Viene dal basso, è captare segnali emergenti da culture e subculture e portarli al tavolo delle imprese. È combinare elementi esistenti per generare qualcosa di nuovo che permette di guadagnarsi fiducia e credibilità agli occhi del pubblico. Quando si traducono questi segnali in un linguaggio originale nascono connessioni autentiche, durature, potenti.
L: A volte la creatività può essere costruttiva, ma altre volte può e deve distruggere. Cosa ne pensi?
E: È vero: la creatività non è solo costruire, ma anche abbattere ciò che non serve più. Pensiamo a Tesla, che ha cancellato completamente l’intermediazione nella comunicazione e nella vendita. Anche la distruzione, se fatta ad arte e con una visione dietro, ti porta a diventare un mito. Spesso le persone riconoscono queste operazioni e le premiano, in quanto non convenzionali. Oggi la Gen Z vede tutto ciò che è mainstream come finto, la pubblicità è considerata un “fake”. Se vuoi attirare la loro attenzione devi osare e, soprattutto, essere autentico nelle transazioni comunicative.
L: E i social media invece? Come sarà il loro futuro?
E: I social sono la linea del fronte su cui si combatte la battaglia contemporanea. Da una parte concorrono a un vivere di apparenza, all’ansia della FOMO ed alla necessità di “esserci”, pena l’invisibilità. Hanno sicuramente un lato oscuro. Allo stesso tempo però offrono e hanno offerto una voce a chiunque. Basta avere qualcosa da dire. Parlando di contenuti, gli short form video sono diventati il formato dominante, la vera cifra contemporanea. Ma accanto agli short, io credo fermamente che i contenuti long form, come i podcast, diventeranno sempre più importanti.
Per il futuro mi immagino un ecosistema social capace di combinare entrambe queste anime. Un TikTok + Spotify. Ovviamente questo sarebbe anche un "sogno" di Enzo consumatore di contenuti, ma secondo me la strada è chiara: da una parte un front-end velocissimo, con algoritmi super ottimizzati che in pochi secondi mi mostrano ciò che mi interessa, un infinite scroll davvero infinito. Ma dall’altra parte, un back-end solido, fatto da contenuti lunghi, dove approfondire e ricavarmi un tempo per me, di crescita e di assoluta qualità. Posso navigare a vista ma posso anche tuffarmi e immergermi: insomma, meno spazio agli influencer “estetici” e più spazio a chi costruisce la sua influenza su expertise reali.
L: Arriviamo ai podcast. Secondo te, quali sono gli ingredienti essenziali che ne hanno determinato il successo?
E: Il podcast è lo strumento di comunicazione più potente che abbiamo oggi. Perché? Disintermediazione totale e portabilità. Innanzitutto i podcast non hanno filtri, sono conversazioni libere, non c’è un gatekeeper, non c’è un framing. O perlomeno sono nati così, e Joe Rogan da solo fa milionate di ascolti, cosa che alcuni palinsesti del mainstream americano ormai si sognano. Il bello del podcast è che ti permette di essere te stesso, senza che un media emittente editi il messaggio. È il ritratto di una conversazione.
La comunicazione è un bisogno fondamentale dell’essere umano, al pari di mangiare o dormire o riprodursi, e l’audio è il mezzo più diretto e portatile per soddisfare questa necessità. Non dimentichiamo che il podcast mi “segue” ed è on-demand: il protagonista è l'ascoltatore.
L: Secondo te perchè la disintermediazione funziona così bene? A quale bisogno psicologico risponde?
E: Secondo me riesce a far riavvicinare le persone alla realtà. Risponde al bisogno di connessione autentica e umana. È lo stesso motivo per cui i film di found footage hanno avuto tanto successo: volutamente simili a documentari, vengono percepiti come più vicini dalle persone. C’è una grande fame di realtà, che guida sempre più il consumo di contenuti oggi.
L: Come ti sei innamorato del podcast?
E: Il mio percorso ha sempre viaggiato su due binari paralleli, da un lato il digitale e dall’altro il suono. La mia tesi di laurea nel lontano 2000 era uno studio sui fenomeni della radio e di internet, e a ripensarci ora è un segnale assolutamente profetico. Da quella passione è nato Studio33, completamente dedicato a musica, suono e parole. E con quella passione in testa ho deciso di scommettere sul podcast, convinto che sarebbe diventato un linguaggio dominante. E per ora sta andando bene!
L: L’hai nominata tante volte, e la parola sembra essere un elemento chiave nella tua visione. Che ruolo riveste per te?
E: Beh, questa è una passione che condivido con Remida. La parola è la vera eminenza grigia, in tutte le sue epifanie. Veniamo da un’era dominata dall’immagine, ma la parola sta tornando al centro dell’azione. La parola espressa per me è magia pura. Riesce a cambiare la realtà. La parola poi è libertà, permette di andare oltre l’immagine superficiale modello social. Certo che se invece l’immagine è etica, onesta e proviene da artisti di ricerca, allora ha il potere di farti immaginare anche essa l’invisibile. Per me il futuro della comunicazione sarà sempre più centrato sul linguaggio. Le aziende devono capire che è inutile avere una moltitudine di canali se poi manca una direzione al linguaggio che li unisce tutti. La parola è libertà primaria rispetto all’immagine, che a volte sa essere enigmatica e feconda, ma che più spesso ti inquadra.
Enzo, è sempre bello incontrarti. E sottoscriviamo tutto quanto ;)
E voi, siete pronti a parlare? Perché alla fine, ciò che conta al di là del media è sapere cosa dire. Scrivici a supernova@remidastudio.com