Ci sono vite che sembrano un copione scritto dal destino, ma che in realtà sono il frutto di una determinazione incrollabile e di una visione chiara. La storia di Stefano Muroni, attore, sceneggiatore, produttore e imprenditore culturale, è una di queste. Dalla Ferrara della sua infanzia al Centro Sperimentale di Cinematografia, fino alla creazione di una vera e propria filiera del cinema nella sua città natale, Stefano ha trasformato una passione in un progetto di vita che unisce arte e imprenditorialità. REMIDA lo ha incontrato per parlare di sogni, creatività e del coraggio di costruire il proprio destino.
REMIDA meets Stefano Muroni
F: Stefano, grazie per essere con noi. Partiamo dall’inizio, come è nata la tua scelta di entrare nel mondo del cinema e della recitazione?
S: Ho avuto una grande fortuna, che non tutti i bambini hanno: sapere fin da piccolo cosa volevo fare nella vita. Già a cinque anni dicevo: “Da grande sarò un attore”. Lo scrivevo persino nel mio diario segreto, che conservo ancora. Quando mi chiedevano il perché, non sapevo rispondere. Venivo da una famiglia semplice, mia madre era una maestra, mio padre un carabiniere, i miei nonni operai o fabbri. Eppure, c’era una voce interiore che mi diceva: “Tu devi fare quello”. E così tra i sei e i diciotto anni ho dedicato tutto me stesso a quel grande sogno. A Ferrara ho fatto tutto quello che potevo: conservatorio, musica e spettacolo, persino un corso teatrale per adulti. Quando Ferrara non offriva più opportunità, a 18 anni ho preso la mia valigia e sono partito per Roma con l’unico obiettivo di entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia.
F: E come è andata?
S: Ho tentato le ammissioni, fatto tanti provini, e alla fine sono entrato, selezionato da Giancarlo Giannini. Per la prima volta ho visto un sogno realizzarsi. Ho avuto l’opportunità di conoscere figure straordinarie come Woody Allen, Ennio Morricone e Bernardo Bertolucci. E dopo il diploma è arrivata la grande disillusione, nessuno mi ha chiamato. Nessun regista, nessun casting director. È stato un paradosso, ero uno degli otto selezionati, ma sembrava che non ci fosse spazio per me. Molti miei compagni hanno abbandonato quel sogno, tornando nelle loro città. Io no. Ho deciso di diventare un imprenditore della mia creatività. Ho scritto e prodotto il mio primo cortometraggio, 30 e lode, e poi il mediometraggio Tommaso, con Monica Guerritore e Giulio Brogi. Infine, il mio primo film: La notte non fa più paura, sul terremoto dell’Emilia Romagna.
F: Hai deciso di non aspettare che qualcuno ti chiamasse, ma di costruire il tuo percorso. Quanto è stato importante questo approccio per la tua carriera?
S: È stato tutto. Ho capito che, se nessuno ti valorizza, devi essere tu a farlo. Dopo il primo film, ho fondato la società di produzione Controluce Produzioni, con cui ho realizzato progetti come Oltre la bufera, sulla vita di Don Giovanni Minzoni, e Il soldato senza nome, che esplora le malattie mentali durante la Grande Guerra. Il primo, insieme a La notte non fa più paura, è stato venduto alla Rai, mentre il secondo è stato distribuito nei cinema italiani. Ma non mi sono fermato qui. Ho voluto creare un ecosistema culturale nella mia Ferrara, fondando Ferrara, la città del cinema, che include scuole di teatro, cinema e progetti formativi. Oggi abbiamo 220 studenti provenienti da 14 regioni d’Italia che sono iscritti alla nostra Blow-up Academy, e tanti di loro hanno già mosso i primi passi nel mondo del lavoro attraverso le nostre produzioni.
F: Ti definisci più artista o più professionista?
S: Non mi reputo un artista, almeno non secondo la mia idea di artista. Per me, artisti sono stati personaggi come Antonioni o Gian Maria Volonté. Io mi vedo più come un imprenditore della creatività. Certo, c’è molta arte in quello che faccio, anche se mi considero più che altro un professionista che vive del proprio lavoro e delle proprie storie. Forse sono un tramite: le storie mi trovano, e io sento il dovere di raccontarle.
F: Qual è la parte più importante per te nel raccontare una storia?
S: Quando una storia mi colpisce, non penso mai al messaggio che voglio trasmettere. Sento solo una necessità interiore che mi dice che quella storia deve essere raccontata. Non mi interessa se avrà successo o se troverà un mercato. È un’urgenza, come un anelito di eterno. Mi piace pensare che, magari tra cento anni, qualcuno guarderà ancora i miei film. È una connessione con l’eternità che mi spinge a continuare.
In un mondo in cui le opportunità non arrivano sempre spontaneamente, Stefano ha scelto di crearle, reinventandosi e ispirando altri a fare lo stesso. Perché i sogni, per diventare realtà, hanno bisogno di qualcuno che li racconti. Pronti a scrivere la vostra storia? Ci trovi sempre qui: supernova@remidastudio.com.