L’agricoltura, insieme alla capacità di leggere e scrivere, è una delle conquiste che definisce l’uomo e che lo distingue nel regno animale. Da millenni colonna portante delle civiltà, nutre miliardi di persone seguendo principi spesso invariati nel tempo. Eppure, nel 2025, in un mondo iper-tecnologico e sempre più avanzato, l’agricoltura ha ancora margini di miglioramento impensabili. Basta saper guardare in alto.
Tra i visionari che oggi stanno ridisegnando il futuro del cibo c’è Luca Travaglini, fondatore di Planet Farms, che si distingue con una missione tanto ambiziosa quanto rivoluzionaria: diffondere l’agricoltura verticale, producendo cibo sano e sostenibile, con un impatto ambientale minimo. Un percorso che affonda le radici nella tradizione di famiglia, ma che guarda lontano, per superare barriere prima di tutto culturali.
REMIDA incontra Luca Travaglini
L: Pensando alla tua azienda, una delle cose che più ci colpisce è l'idea della verticalità. Creare qualcosa dove prima c'era il vuoto. Coltivare il vuoto. Come è iniziato tutto?
Luca: La mia storia parte da lontano. Vengo da una famiglia che ha sempre lavorato con la tecnologia nel settore alimentare. Mio nonno è stato un innovatore, ha ideato il processo di stagionatura dei salumi, e la nostra azienda è diventata leader mondiale nella realizzazione di stabilimenti automatizzati. Personalmente, ho studiato alla Bocconi e ho lavorato in finanza e nel settore automotive, ma poi, nel 2012, mi sono cominciato a interrogare sull'efficienza della filiera alimentare. Nel 2014, dopo una diagnosi di grave malattia e una lotta difficile per combatterla, mi sono trovato a cambiare completamente prospettiva. Ho scelto di applicare le mie competenze tecnologiche non più al settore animale, ma a quello vegetale. Con il supporto dell’azienda di famiglia abbiamo investito massivamente su tutta una serie di ricerche nel settore agricolo. L’obiettivo iniziale era diversificare il business, ma nel 2018 è nata Planet Farms.
L: Secondo te la fertilità può essere creata ovunque?
Luca: Assolutamente sì, ma dobbiamo fare una distinzione. La fertilità naturale, quella che madre natura ci dà, è unica e insuperabile. Pensa a Chernobyl, dove l'uomo non può vivere, eppure la vegetazione non solo è tornata, ma si è evoluta. Noi però, con Planet Farms, possiamo replicare il miglior giorno di madre natura, 365 giorni l’anno. È tradizionalità all'ennesima potenza, che parte dal presupposto che l’agricoltura è il più grande business al mondo. Quello che facciamo è questo: produrre cibo in modo sostenibile, senza utilizzare risorse che danneggiano l’ambiente. Per esempio le nostre insalate non necessitano di lavaggio (altro spreco di acqua!), ma abbiamo dovuto cambiare la legge per commercializzarle, perché questo non era previsto. La nostra è una agricoltura on demand: non dove ci sono le condizioni, ma dove c’è l’esigenza. Ad esempio, in Italia stiamo sviluppando progetti dedicati a colture come il cotone e il caffè, che potrebbero risollevare due tessuti industriali (ed urbani) altrimenti irrecuperabili.
L: Immagini un futuro in cui tutti coltiviamo qualcosa a casa nostra?
Luca: No, non credo. È un’idea affascinante, ma l’agricoltura richiede economie di scala per essere davvero sostenibile, ed una supply chain adeguata. E anche così non è facile: al mondo c'erano cinque aziende come la nostra, ma adesso siamo rimasti solo noi. È un settore dove non esistono prodotti di marca, e già questa è stata una bella sfida. Sembra che abbiamo tanti diritti, ma non di sapere quello che stiamo mangiando: l’obiettivo è che queste tecnologie possano portare benefici economici e ambientali a livello globale.
L: Quindi, come ti definisci? Imprenditore, agricoltore, o personaggio tech?
Luca: Fortunato. Forse tutte e tre le cose, ma soprattutto fortunato. Io conosco quello che faccio meglio di chiunque altro, anche se non ho il pollice verde e non sono un ingegnere. Se ho una dote, è saper far fare alle persone quello che non pensavano di poter fare. E senz’altro mi piacerebbe dare un reale contributo per il futuro, pensiamo ad esempio al problema dei flussi migratori: la gente non vuole scappare, ma a volte non ha scelta. Con Planet Farms penso di poter dare dignità e prospettiva, ovunque nel mondo. Ridare dignità ai territori e alle persone.
L: Come ti immagini il futuro di Planet Farms?
Luca: Non mi interessa solo il risultato economico, ma quello che davvero conta è farla diventare un esempio di innovazione che porta un cambiamento positivo. Planet ha attirato investimenti importanti e cresce bene, ma la vera sfida è contribuire a cambiare l’approccio globale alla produzione di cibo. Voglio che si parli di un nuovo modo di pensare e agire, basato su efficienza e sostenibilità. Se la natura è sempre più costosa e inefficiente, io sono l’opposto: costo sempre meno e vado sempre più veloce. Go vertical significa proprio questo: è guardare in alto, aiutare le persone ad andare oltre. L'innovatore spesso non passa dal supporto degli altri, anzi, è proprio l’opposto. È colui che vede nonostante gli altri: alla fine, devi sapere chi sei tu.
L: Quale consiglio daresti a un altro imprenditore?
Luca: Non avere paura di sporcarti le mani, perchè l’esperienza è quando la prendi nel culo. Spesso ci si sente soli con le proprie idee, ma è questo il bello del percorso: è un viaggio che insegna tantissimo. Ed è mio nonno l’artefice di tutto. Io oggi orchestro 135 persone, mi definisco il “chief disruption officer”, ma è tutto partito da mio nonno.
L: A questo punto, dobbiamo chiedertelo: verdura preferita?
Luca: Ah, bella questa! In realtà, posso dirti che prima di entrare nel mondo delle insalate, non mangiavo verdura. Adesso invece mi piace! Penso soprattutto a un incrocio tra rucola e wasabi. Abbiamo trovato una varietà giapponese che sta dando emozioni incredibili.
Che chiacchierata, Luca, grazie. È raro incontrare qualcuno di così appassionato: così appassionato che a tratti la voce trema, e così umano da non farci caso e continuare a parlare. Scrivici a supernova@remidastudio.com, è arrivato il momento di guardare in alto.