SPOILER ALERT: IF YOU HAVEN'T SEEN “CHALLENGERS” (YET?? REALLY?!)... YOU SHOULD NOT READ THIS POST. OR YES?
In un universo parallelo, Luca Guadagnino è di Milano. Nell’universo parallelo dei miei vicini di poltrona al cinema, tutto è ancora da scoprire. Luca vive a Milano, e Zendaya è un’attrice sconosciuta. Challengers, poi, è un film un po’ noioso, un po’ senza trama. E io che pensavo di non trovare nessuno, nella proiezione delle 7 in lingua originale…
In un altro universo, sempre parallelo, perchè comunque le rette parallele sono quelle che non si incontrano e noi, complice la “poltrona-guardaroba” nel mezzo, mica ci siamo parlati, in effetti… Nel mio universo invece, pensate, Challengers di trame ne ha ben più di una.
È un film ricorsivo.
Ovvero, con calcolate ambiguità che lasciano spazio a differenti interpretazioni. Un film diverso ogni volta che lo guardi.
Un film verista, per di più.
Che racconta l'inevitabile falling in love di due giovani good lookin’ lads for Zendaya.
Verista, come dicevo. Non ne possono fare a meno. Come tutti noi.
Un film sulla competizione.
Su chi non riesce a vivere al di fuori della competizione. E che forse per questo affascina tanto. Nessuno mi chiede mai perchè ho fondato Remida, o perchè faccio quello che faccio: la verità è che non potevo fare altrimenti.
Un playground che diventa una lastra di vetro.
Un regista che ci fa vedere i giocatori dalla suola delle loro scarpe, che ci fa vedere quanto tentano di strapparsi, per arrivare più in alto, per arrivare al cielo.
E a volte si strappano. Come succede a lei.
Ma la competitività rimane. E allora va dirottata, da qualche altra parte. Da qualsiasi altra parte.
A volte il silenzio assoluto. A volte il movimento che è solo nello sguardo. A volte il respiro trattenuto. A volte la musica da discoteca.
Certe scene, di certi film, ci restano dentro. Come i laser field danzati da Vincent Cassel in Ocean's Twelve. Dove vedi l’allenamento, e ne vedi anche frutti. Vedi la straordinaria abilità di un soggetto nel fare qualcosa. Talmente cesellata, talmente sedimentata. Che diventa una danza. A volte vediamo solo la danza, la performance, e ci scordiamo di quello che c’è prima. lo dice anche Zendaya, nel film. Quando la fatica scompare, la performance diventa una relazione. Non vedi più il gesto tecnico. Non vedi più lo sforzo: ed allora ti sembra di volare. A te, e a chi ti guarda.
Alla fine, come Vincent Cassel, arrivi in balzo all’ultimo gradino.
Sudato.
Barcolli un istante.
E ci sei. Ce l’hai fatta. E allora cosa fai? Nulla.
Non esulti: festeggiare sarebbe come ammettere che c’è stata della fortuna.
Allora non dici niente, sorridi piano. Come a schernire il fato.
E vai avanti.
Il film non finisce.
Lei si alza in piedi.
E semplicemente, si riaccendono le luci.
In un universo parallelo… Gli universi paralleli sono solo le menti degli altri. Per creare una collisione, scrivici a lisa@remidastudio.com