Loquens si nasce, E-loquens si diventa

  • Direzione Linguistica®
  • Tutti
  • Lettura: 2 min
  • 21.10.24
  • Previously on “Animali eloquens, e dove trovarli”.



    Nella scorsa puntata (Dearest Gentle Reader, se te la sei persa puoi cliccare qui) abbiamo rispolverato le nostre filosofiche “reminiscenze”, dove Platone ci ricorda che la filosofia permea il linguaggio più di quanto immaginiamo. Dicevamo che non siamo delle api, e che informazione e comunicazione, no, non sono la stessa cosa.



    Quindi, ripartiamo proprio da qui. Cosa significa “E-loquens”, e perché è tanto diversa da quell’altra parolina che le sembra così affine, loquens?



    Beh, mentre in un caso si fa riferimento alla mera capacità di parlare, nell’altro l’accento è posto sul COME si parla:



    “dotato di parola” vs “parlare per bene”.



    E se c’è un come, allora c’è anche un dove, quando, perché. E soprattutto un A CHI: sto parlando bene? A chi sto parlando? Chi mi ascolta, avrà capito?



    Una miriade di domande ci travolge quando apriamo bocca, e una serie di premure ci fanno preoccupare dell’altro che ci sta di fronte, in una relazione perpetua con quella che i filosofi chiamano alterità. Le api, invece, si accontentano che ad una azione segua una semplice reazione: dicono alle compagne dove si trova il nutrimento, affari loro poi l'andarselo a cercare.



    Ognuno di noi si trova quindi “gettato” nella parola come in un problema, in un compito, in un impegno. E nell’esperienza di una relazione. Un problema, perché ci chiediamo come dobbiamo parlare. Un compito, perché ci preoccupiamo di essere capiti. Un impegno, perché le nostre parole sono il frutto di una scelta. E anche una relazione: perché parliamo sempre ad una alterità, tangibile o intangibile che sia.



    Un altro filosofo, Karl-Otto Apel, a questo proposito aggiunge che quando qualcuno scrive un testo, è perché vuole comunicare a qualcun altro un certo contenuto. Idealmente, vorrebbe pure che quello si trovi d’accordo con lui, che lo ascolti, lo capisca, e gli risponda.



    E tu, quando scrivi un testo, vuoi essere capito?



    Non suonerà allora tanto strano, arrivati a questo punto, dire che la parola è un vero e proprio “atto morale”, dato che parlare=parlare bene. Ed è pure un progetto, alla fin fine, incompiuto: quando pensiamo di aver detto quello che dovevamo, subito si è rilanciati verso l'altro che – RISPONDENDOCI – esige altre immagini, altre parole, altre relazioni.



    Un bel dramma, questo qui dell’essere E-loquens. Definito dalla parola, che è incapace di definire. Costituito dal linguaggio, ma solo per ricostruirsi al di fuori di esso ed attraverso la relazione.



    Capiamo bene, allora, che la scelta delle nostre parole è un fatto tutt’altro che secondario. È addirittura fondativo. E non è sufficiente saper articolare un linguaggio per chiamarci esseri umani, ma è necessario prendercene cura… A noi, tutto questo discorso ricorda un’altra cosa… dai che la sai, comincia per D e finisce per -irezione Linguistica®!



    Per domande sul linguaggio, scrivici a supernova@remidastudio.com.

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